Giacomo Matteotti (nato a Fratta Polesine in provincia di Rovigo il 22 maggio del 1885), è stato un politico, giornalista e antifascista italiano. Dopo aver frequentato il ginnasio a Rovigo Giacomo Matteotti si laureò in Giurisprudenza all’Università di Bologna nel 1907, entrando in questo periodo con i movimenti socialisti nei quali divenne ben presto una figura di spicco. Matteotti fu eletto in Parlamento nel 1919 per la prima volta, e venne successivamente rieletto nel 1921 e nel 1924, soprannominato “Tempesta” dai compagni di partito per il suo carattere battagliero e intransigente. Molto meticoloso passava molto tempo a leggere libri, relazioni statistiche, da cui attingeva dati per portare avanti la sua battaglia politica. Matteotti fu un antifascista convinto, denunciò con forza le violenze delle squadracce durante la campagna elettorale del 1921 nei territori di Ferrara e Rovigo. Nell’ottobre del 1922 venne espulso dal Partito Socialista Italiano con la corrente riformista legata a Filippo Turati, i fuoriusciti dal PSI fondarono il nuovo Partito Socialista Unitario di cui Matteotti fu segretario. La sua opposizione al fascismo e ai suoi metodi violenti e antidemocratici continuò con articoli, libri e discorsi politici. Memorabile fu il suo discorso alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924 in cui Matteotti denunciò una nuova serie di violenze, illegalità e abusi commessi dai fascisti per vincere le elezioni tenutesi il precedente 6 Aprile. Terminato il discorso disse ai compagni di partito:” Io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me”, e in un’altra occasione aveva pronunciato:” Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”. Dopo il discorso di Matteotti del 30 maggio i fascisti si resero conto di avere di fronte in Parlamento un’opposizione molto tenace e combattiva non disposta a subire in maniera passiva illegalità e soprusi. Il 10 giugno 1924, intorno alle 16:15 Matteotti uscì di casa a piedi per dirigersi a Montecitorio, venne aggredito nel quartiere Flaminio da cinque squadristi e caricato con forza in una macchina che partì a grande velocità (di questo episodio furono testimoni due ragazzini), nella vettura scoppiò una violenta rissa e Matteotti riuscì a gettare fuori dall’abitacolo il suo tesserino da parlamentare. Il tesserino venne poi ritrovato da due contadini nei pressi del Ponte del Risorgimento, non riuscendo a tenerlo fermo, uno dei sequestratori estrasse un coltello colpendo Matteotti sotto l’ascella e al torace uccidendolo dopo un’agonia di diverse ore. I cinque si sbarazzarono del corpo in un bosco fuori la capitale, che venne ritrovato solo due mesi dopo l’omicidio, voluto probabilmente per volontà esplicita di Benito Mussolini.